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L’Italia nella nuova economia mondiale

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Nella ricerca ”l'Italia multinazionale 2006” l’Ice ha fotografato il contesto economico internazionale e il modo in cui l'Italia partecipa ai processi di globalizzazione. La pubblicazione, curata da Sergio Mariotti e Marco Mutinelli, si concentra su alcuni settori (industria estrattiva e manifatturiera, energia, gas, acqua, costruzioni, commercio all’ingrosso, logistica e trasporti, servizi di telecomunicazione, software e servizi di informatica e altri servizi professionali), escludendone altri (comparto finanziario, agricoltura, servizi immobiliari, distribuzione al dettaglio, turismo, servizi sociali e alle persone).

L’obiettivo dello studio è analizzare le modalità di internazionalizzazione di natura equity, includendo partecipazioni azionarie di maggioranza e di minoranza in sussidiarie, filiali, affiliate, joint venture, incroci azionari a supporto di alleanze strategiche, verificando la posizione occupata dall’Italia nell’ambito della nuova geografia economica mondiale. Dopo le difficoltà dell'inizio millennio, con la discesa dei flussi mondiali degli IDE (investimenti in acquisizioni e fusioni, in ampliamenti di attività esistenti, greenfield, ecc.) dal record di 1.400 miliardi di dollari del 2000 ai 630 del 2003, si assiste oggi a una forte ripresa dei processi di internazionalizzazione della produzione.

Nel 2005 sono cresciuti del 29% vs. 2004 e i primi consuntivi per il 2006 indicano un'ulteriore crescita del 34%, verso il livello di 1.200 miliardi di dollari, non lontano dalla soglia record. Nel lungo periodo, i tassi di crescita degli IDE si sono in media mantenuti ben superiori a quelli del prodotto lordo mondiale e delle esportazioni. Ciò ha favorito l'emergere di una nuova geografia economica, in cui diminuisce il peso dei paesi industrializzati come destinatari degli investimenti e cresce la quota dei paesi di nuova industrializzazione e in via di sviluppo.

LA TRIADE – i progetti interni alla triade dei paesi avanzati (Europa Occidentale, Nord America, Giappone) sono pari a solo il 28,5% del totale, percentuale che scende sotto il 20% in termini di valore stimato dell'investimento. L'incidenza di questi stessi paesi, come aree di destinazione di nuovi progetti con origine da tutto il mondo, non supera un terzo e un quarto del totale, rispettivamente per numerosità e consistenza degli investimenti. Si assiste ad un significativo ridimensionamento dell'allocazione di nuove attività cross-border, produttive di beni e di servizi, nei grandi paesi industrializzati.
L'Europa Occidentale investe più che proporzionalmente rispetto alla media mondiale nell'altra parte del vecchio continente e in Nord America. Le relazioni con queste aree sono di tipo bilaterale, in quanto queste investono in Europa Occidentale in proporzione maggiore che nella media.
Il Nord America opera tra l'Atlantico e il Pacifico. Parallelamente, il continente nord-americano polarizza sul proprio territorio progetti di investimento non solo dall'Europa Occidentale, ma anche e soprattutto da Giappone, Oceania e America Latina.
Il Giappone svolge le sue principali relazioni bilaterali nell'area del Pacifico, con l'Asia, l'Oceania e il Nord America; solo alcuni grandi progetti alzano sopra la media la propensione del paese del sol levante verso il Medio Oriente.
L'incidenza dei progetti intra-Triade scende ad un modesto 22,8% per numerosità e addirittura al 17% per valore. La Triade, come area di destinazione, assorbe solo un quarto dei progetti manifatturieri attivati nel mondo e un quinto del loro valore stimato.

I NUOVI PROTAGONISTI – l'Asia, escludendo Giappone e paesi asiatici del Medio Oriente, riceve il 31% delle iniziative, con il 37% del valore stimato dell'investimento. L'Europa Centro Orientale assorbe quasi il 20% delle iniziative, sebbene con un'incidenza che sembra dimezzarsi in termini di valore. Seguono, nell’ordine, America Latina, Medio Oriente (la cui incidenza in termini di valore sale oltre l'11%, complice il cluster industriale-finanziario del petrolio), Africa ed Oceania. Particolare attenzione deve essere dedicata alle traiettorie che originano dai paesi di nuova industrializzazione e in via di sviluppo, i quali stanno emergendo come nuova fonte di IDE. Il fenomeno più rilevante è l'affermarsi di una direttrice Sud-Sud, ovvero tra aree e paesi non tradizionalmente investitori. Un fenomeno che risiede nei progetti intra-area: tra paesi asiatici, tra paesi latino-americani, tra paesi africani, nel Medio Oriente e in Oceania. A queste traiettorie se ne aggiungono anche quelle attraverso i continenti:
– tra Medio Oriente ed Africa
– tra Africa ed Oceania
– tra Asia e le aree appena nominate.

Della contrazione delle quote della Triade non beneficiano in modo uniforme le altre aree: aumenta il peso di Asia ed Europa Centro Orientale, che assieme raggiungono quasi il 60% dei progetti per numero ed oltre la metà per valore stimato.

L’ITALIA – nella nuova geografia economica la posizione italiana è critica. Il numero di iniziative all'estero dell’Italia come origine e destinazione dei nuovi progetti è pari circa alla metà di quelle attivate dalla Francia e ad un terzo di quelle relative a Germania e Regno Unito, con un valore medio di investimento più che dimezzato rispetto a questi paesi. La posizione italiana migliora se si guarda alle sole attività manifatturiere, anche se il gap permane (soprattutto rispetto alla Germania). Sul fronte dell'attrattività, la situazione peggiora ulteriormente: il divario in termini di numerosità di iniziative sul proprio territorio si amplifica rispetto a tutti i paesi, soprattutto in campo manifatturiero.

Il confronto con la Spagna è impietoso: questo paese accoglie nuovi progetti in una proporzione che è 1,7 volte quella dell'Italia, addirittura pari al triplo nel caso della sola manifattura, con una dimensione degli investimenti inferiore, ma non dissimile da quella dell'Italia. Il nostro paese mostra palesi difficoltà nei processi di integrazione internazionale, che nella maggior parte dei casi si focalizzano sul commercio al dettaglio e con maggiore specializzazione nelle industrie leggere e nei prodotti di consumo. Una quota rilevante dei progetti italiani all'estero concerne l'investimento in reti distributive e negozi nelle attività tradizionali del made in Italy e, soprattutto, della moda. Dei 492 progetti censiti per le industrie leggere, ben 415 attengono al tessile abbigliamento, un settore che combina iniziative a monte, di delocalizzazione produttiva e a valle, di avvio e rafforzamento di reti distributive.

La principale area di destinazione è l'Europa Centro Orientale, luogo verso cui si orientano molte iniziative di delocalizzazione produttiva. E’ allineata alla media la propensione verso l'Europa Occidentale (con polarizzazioni nella direzione dei paesi confinanti), mentre è al di sotto della media l'orientamento verso le altre aree del mondo (specialmente Asia e Pacifico). Il modello di crescita delle imprese italiane all'estero è coerente con la struttura industriale frammentata del paese: prevale la delocalizzazione verso aree familiari e "vicine" in senso geopolitico e logistico e il deciso impegno nel consolidamento della presenza commerciale nelle aree ricche, capaci di apprezzare qualità del design e innovatività del prodotto e di esprimere profili di domanda elastici al reddito. Limitate sono le iniziative in termini di numero e taglia di investimento rispetto alle maggiori economie, incluse le europee; fattori questi che si riflettono in un gap di globalità, soprattutto in riferimento al nuovo epicentro dell'economia mondiale, spostatosi inesorabilmente nel Pacifico.

Anche la modesta attrattività del paese può essere spiegata con i tratti di composizione funzionale, settoriale e geografica del Paese, destinatario per lo più di progetti di prevalente natura commerciale o legati ai servizi alle imprese. Gli investitori stranieri, per lo più dell’Europa Occidentale, sono attivi nelle industrie leggere, prodotti di consumo, turismo e spettacolo e provengono dai paesi. Ma il problema dell'attrattività non potrà essere risolto senza un sensibile cambiamento nella struttura dell'industria nazionale.

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