La crisi sta mettendo in crisi molte imprese. E non si tratta solo di un pessimo gioco di parole. Valentina Sanfelice, presidente del gruppo giovani di Confapi, qualche giorno fa ha lanciato l’allarme circa il rischio per l’Italia di perdere un’intera generazione di imprenditori.
Questo accade perché il contesto imprenditoriale si è fatto via via più competitivo e la difficile congiuntura economica sta mettendo in ginocchio anche le realtà produttive più consolidate, scoraggiando non poco i giovani che hanno un’idea di business ma non la forza, finanziaria e non, per realizzarla. La crisi sta mettendo in crisi molte imprese. E non si tratta solo di un pessimo gioco di parole. Valentina Sanfelice, presidente del gruppo giovani di Confapi, qualche giorno fa ha lanciato l’allarme circa il rischio per l’Italia di perdere un’intera generazione di imprenditori. 
La crisi economica, però, da sola non basta a spiegare una tendenza in atto nel nostro paese già da tempo: nei primi sei mesi del 2009 i giovani imprenditori italiani under 30, secondo lo studio condotto da Sintesi su dati Infocamere, sono diminuiti dell'11% rispetto allo stesso periodo del 2008 e addirittura del 27% rispetto al 2003.
Altro dato preoccupante è la bassa percentuale di imprese a conduzione giovanile che operano in Italia: sono circa 600 mila, pari al 6% del totale.

Questi numeri da soli fotografano un quadro in linea con il progressivo invecchiamento della popolazione i cui effetti sono visibili anche in altri contesti: l’Italia è un Paese in cui lo spazio decisionale è troppo spesso ancora nelle mani di persone anziane. Basti pensare a quanti giovani sono attualmente in Parlamento, come anche al vertice di aziende pubbliche e non. Le imprese, infatti, non fanno eccezione. Nelle aziende la difficoltà a dar vita ad un sostanziale ricambio generazionale porta spesso i capostipiti più anziani a tenere le redini anche in età molto avanzata. Oltre ai pochi imprenditori giovani in circolazione, si rileva che gran parte delle imprese a conduzione giovanile (il 67%) è attiva nel campo dei servizi. Questo significa che i giovani presidiano poco i settori produttivi strategici del made in Italy, come il manifatturiero. Tra le imprese junior che soffrono maggiormente: il comparto della produzione (chimica, meccanica, tessile) che registra cali anche superiori al 50%. Ne consegue per il nostro Paese un rischio forte, ovvero quello di perdere la propria tradizione produttiva che trova nel manifatturiero delle punte di eccellenza. Basti pensare all’abbigliamento, all’alimentare, alla meccanica, soprattutto di precisione.

La drastica diminuzione dell'imprenditoria giovanile, come precisa lo studio Confapi, si registra nel passaggio tra il secondo semestre 2008 e il primo semestre 2009 in tutte le Regioni italiane, in un range compreso tra il 10% (Campania, Piemonte e Liguria) e il 12% (Lombardia, Emilia Romagna e Sardegna).

Perché accade questo? Certamente per la presenza di una serie di fattori contestuali evidenziati dalla Bagnoli, tra cui:
1. eccesso di burocrazia: è l'ostacolo più forte alla creazione d’impresa. Spesso un giovane che dirige un’impresa nel settore primario o secondario ha ereditato l’azienda di famiglia. Per lui è certamente più facile che per gli altri. I pochi giovani coraggiosi che decidono di diventare imprenditori preferiscono optare per il settore dei servizi dove è più semplice avviare un’attività imprenditoriale. La Bagnoli ricorda che “bisogna produrre un ammontare di carte interminabile anche solo per accendere la luce nello stabilimento”. E prosegue amara che “persino Bill Gates se nascesse in Italia, finirebbe per scappare all’estero”. Ma chi produrrà in futuro i beni di largo consumo di cui abbiamo bisogno?
2. logiche di natura clientelare: strettamente connesso al punto precedente è la presenza di forti logiche basate ancora su un sistema clientelare che non premia il merito ma l'abilità nelle relazioni
3. clima generale di sfiducia e ritardo culturale: “anziché attestarsi sulla diffidenza a prescindere, bisognerebbe capire che se uno vuol fare impresa non sta commettendo un delitto, ma semplicemente vuole creare sviluppo nel territorio”. L’Italia resta culturalmente molto distante dagli Stati Uniti dove c’è maggior fiducia verso chi vuol fare. Gli italiani sono diffidenti a prescindere, mentre gli americani tendono a castigare solo quando si commettono errori. Si tratta di un punto di vista molto diverso che stimola la creazione d’impresa giovanile. E di esempi di grandi imprese messe su da giovani imprenditori in America ve ne sono tantissimi
4. l’assenza di venture capital o strumenti di finanza alternativa a quella bancaria: i vincoli imposti da Basilea 2 rendono le banche attori troppo attenti alle garanzie. A detta della Bagnoli “ora va anche peggio per via di Basilea 2, che propone uno strumento meramente ragionieristico per l’affidamento del credito” assenti nel nostro Paese.

Tra i pochi aspetti positivi che lo studio Confapi rileva in Italia è la vitalità dell’imprenditoria giovanile del Mezzogiorno rispetto al centro-nord. Nel Sud Italia si concentrano le percentuali più elevate di imprenditori under 30: la Calabria sfiora l’8,2% seguita dalla Campania (7,6%) e dalla Sicilia (6,6%). Una situazione che la dice sullo stato dei giovani nel Sud Italia e sulla necessità di provare ad "arrangiarsi" per conto proprio.