L'economista veneziano Enzo Rullani non è nuovo alle provocazioni culturali, ma quella che ha lanciato nei mesi scorsi al convegno sull'«Internazionalizzazione delle imprese e dei distretti industriali», promosso dalla Facoltà di Economia dell'Università di Urbino, merita di non passare inosservata. «Per noi – ha spiegato l'accademico della Ca' Foscari – la stagione del basso costo del lavoro è finita per sempre. Se vogliamo vincere la sfida competitiva di oggi e soprattutto di domani dobbiamo fare i conti con l'internazionalizzazione invisibile, che non è fatta solo di export e di investimenti diretti all'estero ma principalmente di conoscenza e, dunque, di reti di imprese e di investimenti in comunicazione, logistica, sistemi di garanzia verso il cliente. Non è allocando meglio fattori immobili ma propagando conoscenze da un luogo all'altro del mondo che la nuova internazionalizzazione crea valore. Le più dinamiche delle nostre medie imprese cominciano a incamminarsi su questa strada».

Questa è un'analisi controcorrente che Rullani ha presentato a seguito di un'ampia ricerca empirica condotta recentemente sulle medie aziende dei distretti di diverse aree e settori d'Italia. No alle suggestioni neoprotezionistiche . «Noi economisti di certezze ne abbiamo poche – ha subito messo in chiaro Gianfranco Viesti dell'Università di Barima i dati dell'ultimo quinquennio ci dicono chiaramente che si è rotto il modello competitivo italiano. Non è il caso di intonare il de profundis del made in Italy ma è sicuramente l'ora di cambiare, senza però coltivare suggestioni neo-protezionistiche».

Ma tutto questo – si è chiesto Gaetano Maria Golinelli dell'Università "La Sapienza" di Roma – significa che è in crisi la formula dei distretti o che la loro attuale difficoltà è l'effetto di una crisi più ampia?

«Non dimentichiamo – gli ha risposto Giovanni Solinas dell'Università di Modena – che siamo di fronte a un evento epocale, come l'ingresso sulla scena economica internazionale di Cina e India, che rappresentano un terzo del mondo e che pongono nuovi problemi a tutti, e quindi ovviamente anche ai distretti, ma non solo a loro. Più che sognare nuove specializzazioni nell'hi-tech il problema di oggi è quello di aiutare i distretti a fare meglio quello che sanno già fare».

Al di là della diversità delle analisi e delle teorie, su un punto gli economisti delle varie scuole concordano: non si può fare di tutta l’erba un fascio ed è ora di distinguere tra impresa e impresa, tra settore e settore, tra distretto e distretto. «Oggi – ha sostenuto Roberto Grandinetti dell'Università di Padovala flotta dei distretti ha almeno due navi: una va ancora e l'altra sta affondando. Ma colpisce il fatto che i distretti che si difendono meglio sono quelli che hanno nel loro interno una molteplicità di formule e di modelli competitivi e soprattutto quelli che hanno saputo generare aziende leader nel mondo, come il distretto dell'occhialeria di Montebelluna, dove ormai ci sono quattro imprese medio-grandi, il cui dinamismo può mettere in forse gli equilibri del distretto stesso».