Secondo la Coldiretti il modello dell’agroalimentare italiano è vincente in tutto il mondo, perché ha saputo raggiungere eccellenza e notorietà puntando su qualità, tipicità e salubrità delle produzioni.
Importante anche il valore aggiunto per ettaro di terreno raggiunto in Italia, pari ad oltre il triplo di quello USA, doppio di quello inglese, e superiore del 70% rispetto a quelle di Francia e Spagna.
Il comparto agroalimentare italiano noto in tutto il mondo soprattutto per la produzione ed esportazione di vino, di prodotti biologici e tipici. Rappresenta il 15,7% del Pil nazionale ed ha un valore complessivo di 240 miliardi di euro.

Le esportazioni sono cresciute nonostante la crisi in atto (nel 2008 l’export agroalimentare italiano ha sfiorato quasi 26 miliardi di euro, con un contributo dell'agricoltura di 5,2 miliardi di euro). Ma nell’esportazione secondo Silvio Panaro, Presidente della Camera di Commercio Italo-Orientale, intervenuto a Bari, all'apertura dell'ultima sessione di lavori della X Convention Mondiale Ciao Italia, dedicata al Workshop Distribuzione "la distribuzione del prodotto italiano è certamente un problema, e grosso” soprattutto quando le imprese produttrici sono di piccola o piccolissima dimensione.

Le imprese italiane sono penalizzate secondo Panaro dall’”eccessiva frammentazione aziendale, insufficiente concorrenza nei servizi, scarsa tendenza all'innovazione, una finanza non a misura d'internazionalizzazione. Gli alti costi relativi ai trasporti, congiuntamente alle elevate tariffe doganali rendono improponibile gli investimenti delle medie, piccole, piccolissime aziende italiane nell'export, anche su Paesi dove la richiesta del prodotto di qualità Made in Italy è elevata. In cinque anni siamo scesi dal settimo all'ottavo posto nella graduatoria dei Paesi esportatori di prodotti agroalimentari".

Le aziende specializzate in produzioni di alta qualità spesso sono piccole e piccolissime. Penalizzate dalla loro dimensione non riescono a penetrare i mercati esteri nonostante la domanda per due ragioni
1. non riescono avere accesso alle piattaforma di distribuzione

2. devono sostenere alti costi di promozione: secondo Panaro “non basta avere il marchio Made in Italy oggi per vendere sui mercati internazionali", è necessario che vi siano investimenti massicci in comunicazione, marketing e presenza sul territorio.

Ad oggi, nella distribuzione dell’agroalimentare, il canale distributivo più utilizzato è la vendita tramite distributore estero (azienda import/export, grossista, rivenditore, casa commerciale o di distribuzione) che, in genere, acquista i prodotti, li stocca nei suoi magazzini, definisce il prezzo di vendita, talvolta rivende i prodotti anche con il proprio marchio. Un sistema, questo, che lascia poco spazio, visibilità e potere decisionale alle imprese produttrici.

Tra i canali distributivi più utilizzati vi sono anche le vendite dirette, preferite dalle imprese che producono beni industriali o strumentali o di consumo ad elevato valore e con bassi volumi di vendita. In questo caso, chi produce deve sostenere ingenti investimenti per affrontare tutti gli aspetti di promozione, marketing e gestione clienti nel post-vendita. Ma, di contro, ha un elevato controllo sull'immagine dell’azienda all’estero e sulla qualità dei prodotti/servizi.

La soluzione secondo Panaro potrebbe giungere da una piattaforma italiana “di distribuzione all'estero dell'agroalimentare italiano, oggi inesistente", dalla sperimentazione, cioè, di nuove forme di distribuzione ultra-corte, puntando sulle nuove tecnologie a basso costo per raggiungere i clienti, sia di ambito privato(famiglie) che business (es. ristorazione).

Tra i mercati potenzialmente interessanti per il nostro agroalimentare italiano figurano:
Australia – mantiene un trend costante nerlla domanda di prodotti alimentari made in Italy.

Brasile – l'Italia è tra i primi esportatori in diversi prodotti (vino, pasta, gelato, formaggi e salumi).
Cina – il consumo di prodotti italiani sta salendo in questo Paese, dove sono presenti diversi distributori locali che rivendono principalmente ai supermercati ed ai pochi ristoranti gestiti da italiani.
Turchia – l’interesse per i nostri prodotti alimentari è molto elevato nella regione di Ankara e in altre zone del paese, soprattutto quelle a vocazione turistica, dove sono presenti delle nicchie di mercato. Questo Paese rappresenta un interessante sbocco per le imprese italiane che intendono affermarsi sul mercato con un programma a lunga scadenza, in particolare la pasta e i formaggi italiani. Per i prodotti alcolici e i vini occorre rivolgersi soprattutto alla ristorazione, sviluppando attività di promozione mirata.

Le aziende italiane, secondo Silvio Panaro, "sono oggi pronte a provare ad attuare una distribuzione ultra-corta, sostenute dalle nuove tecnologie a basso costo, che permetta loro di raggiungere direttamente il Consumatore finale, sia il ‘grande' Consumatore, come può essere il ristorante, sia la famiglia". Una strategia commerciale nuova che potrebbe certamente aprire nuovi mercati per il made in Italy e incrementare le esportazioni verso i mercati già esistenti.