Dall'1 gennaio 2007, potrebbe crescere l'emigrazione di lavoratori verso gli altri paesi membri. I bassi salari ed il recente ingresso della Romania nell'UE stanno alimentando un flusso migratorio di tali dimensioni da mettere in pericolo la crescita economica del Paese.

Sorin Nicolescu, direttore generale in Romania del gruppo svedese Wear Company, la cui sede si trova a Bacau, nord-est della Romania, ha deciso di assumere 800 operai cinesi. “La spiegazione è molto semplice- spiega Nicolescu. – Non vi sono lavoratori romeni a sufficenza, se ne sono andati per lavorare nei Paesi dell'Europa occidentale e centrale” .

La Romania, paese in pieno sviluppo, ha attirato numerosi investitori stranieri grazie al basso prezzo della sua manodopera e alla recente adesione al mercato unico europeo. Sono però questi stessi fattori a causare la partenza massiccia di emigranti.

“Questo fenomeno esisteva già prima dell'integrazione nell'Ue, non ha fatto che peggiorare”, afferma Ana Murariu, dirigente presso la Wear Company. La Romania ha una popolazione di 21,6 milioni di abitanti, ma questi ultimi decrescono ogni anno dello 0,2%. Allo stesso tempo il paese ha assorbito negli ultimi anni più di 9 miliardi di euro di investimenti diretti stranieri. Questa cifra ha contribuito notevolmente alla crescita economica del paese, al 7% nel 2006. All'inizio del 2007 il tasso di disoccupazione era del 5,4%, al di sotto della media dei paesi europei. Con un salario medio di circa 280 euro netti la Romania ha registrato un'emigrazione rilevante a partire dai primi anni '90: quasi 2 milioni di persone, più dell'8% della popolazione totale del paese.

Le destinazioni preferite dai rumeni sono state Italia e Spagna, Paesi in cui svolgono lavori fisici percependo un salario più basso dei cittadini italiani o spagnoli. Per correre ai ripari, Sorin Nicolescu, tramite aziende partner con sede in Cina ha contattato un'agenzia cinese per l'impiego. I lavoratori cinesi che si sono trasferiti hanno dovuto pagare circa 2000 dollari per il trasporto e per una commissione versata all'agenzia. Giunti a Bacau i lavoratori cinesi hanno iniziato a lavorare in un enorme capannone in periferia. Alla fine di maggio dovrebbero arrivare dalla Cina altri 500 lavoratori, percependo un salario netto di 260 euro al mese, quasi il doppio del salario minimo rumeno (132 euro).

Questa strategia di recrutamento è la conseguenza di un periodo nel quale l'azienda è rimasta chiusa, nel 2003, per mancanza di manodopera. Le offerte di lavoro pubblicate sui giornali locali non avevano ricevuto alcuna risposta.

“E' un lavoro difficile e malpagato. Questa soluzione non è la migliore perché, oltre al salario mensile, dobbiamo anche offrire vitto e alloggio – aggiunge Sorin Niculescu.I costi aggiuntivi divengono 100 euro per lavoratore al mese, oltre ai 400.000 euro investiti per costruire gli alloggi”. Alcuni analisti ritengono che Nicolescu avrebbe trovato lavoratori rumeni se avesse offerto stipendi più alti. La direttrice dell'ufficio di collocamento di Bacau ritiene che i cinesi che vi lavorano vengono trattati bene e che vivono in condizioni migliori di molti lavoratori rumeni emigrati all'estero. Alcuni operai contano di rimanere in Romania tre anni, il tempo di mettere da parte risorse per aprire una propria attività in Cina. Desideri condivisi dai tanti rumeni che oggi lavorano nel nostro paese.

La mobilità dei lavoratori diventa quindi un elemento distintivo della globalizzazione dei mercati oggi in atto.