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La rete rompe gli schemi della comunicazione aziendale

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Le imprese italiane guardano ancora con una certa diffidenza al web. Internet negli ultimi 10 anni ha radicalmente mutato i comportamenti ed i processi di acquisto degli utenti: una delle rivoluzioni sostanziali per il web è stata l’affermazione Youtube una piattaforma che ospita video pubblicati dagli utenti. Youtube è stato tra i primi ad offrire agli internauti l'opportunità, anche senza grandi competenze informatiche, di pubblicare dei file, rendendoli immediatamente visibili a milioni di persone.

Come e quanto è cambiata la comunicazione aziendale grazie al web? Tantissimo. E le imprese quanto hanno modificato il loro modo di comunicare con gli utenti? Da qualche anno a questa parte molte imprese investono sul web, tante altre, sopratuto in Italia, guardano a questo media con timore e diffidenza.

Internet può mettere in serio pericolo la reputazione di un'azienda: da qualche anno a questa parte un video fatto circolare su Youtube in pochi minuti può mettere in discussione la reputazione di un’azienda. Oggi oltre a Youtube, l’utente ha a disposizione anche diversi strumenti 2.0, i cosiddetti social network, come Twitter e Facebook, per confrintarsi su prodotti ed acquisti.

Tante imprese nel mondo stanno dirottando ingenti investimenti sul Internet: secondo Gartner la fine del 2011 oltre il 90% delle campagne di marketing delle prime 1000 aziende della classifica “Fortune” prevederà delle attività online.

Essere sul web è fondamentale, perché internet è il luogo in cui gli utenti reperiscono informazioni su un prodotto (la principale fonte di informazione per l’85% degli utenti secondo l’Osservatorio Multicanalità 2009), comparano i prezzi (69%) e leggono le opinioni di altri consumatori (il 27%). Non essere presenti sul web è quindi un elemento fortemente penalizzante.

Due studi recenti dimostrano che sono ancora poche le imprese italiane che stanno provando a sfruttare le potenzialità del web.
– da uno studio condotto dalla Bocconi e commissionato da Adobe è emerso che solo il 30% delle imprese italiane investe sul web da oltre 3 anni. Poco più di 1/3 ha invece stanziato un budget per coinvolgere l’utente;
– un’indagine curata da Mille Ottani e Surveye.info ha evidenziato che oltre il 50% delle imprese italiane usa strumenti web 2.0, sebbene sia sufficiente la sola attivazione di un account twitter o l’apertura di un blog per essere censiti come azienda web 2.0.

Il problema in Italia è che spesso i vertici aziendali non comprendono l'importanza del web per far crescere il business o reperire suggerimenti per migliorare i propri prodotti. “Da noi ancora non si comprende che la relazione con i consumatori in Rete può portare a prodotti migliori” spiega Paolo Iabichino, direttore creativo in Ogilvy.

In Italia scontiamo un ritardo culturale: siamo abituati a rivolgerci ad un avvocato piuttosto che attivare un proficuo dialogo con un utente o un consumatore insoddisfatto.

Per Andy Beal, uno dei più importanti esperti di online reputation management, “il passaggio dai media tradizionali e i monologhi aziendali sui siti, ai media sociali sulla Rete fa di ogni utente un giornalista”.

Le imprese dovrebbero cercare di ascoltare i propri utenti e di essere il più trasparenti possibili: chi mente in rete prima o poi viene smascherato e rischia di perdere la sua reputazione molto più facilmente che in passato.

L’ascolto dell’utente è fondamentale per costruire una buona reputazione sul web, che oggi può essere misurata utilizzando piattaforme come Social Mention o UberVu o rivolgendosi a società specializzate come Nielsen Buzzmetric e l’italiano Blogmeter.

Positivo in questo senso l’esempio di Webank che ha saputo negli anni costruire un buon dialogo con gli utenti della rete, utilizzando strumenti web 2.0. Un altro caso positivo è rappresentato dal gestore telefonico “TRE”, che ha attivato di recente un account su Twitter.

Si tratta di casi piuttosto isolati, a fronte di un numero rilevante di imprese che nel nostro Paese stentano a comprendere i vantaggi del web, probabilmente a causa “di una cultura della comunicazione arretrata rispetto al resto del mondo” conclude Iabichino.

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