Si discute molto in questi tempi di come e quanto le beghe fra politici italiani impatti sull’immagine internazionale del made in Italy. Ebbene, nonostante tanti sostengano l’opinione che l’Italia mantiene il suo peso e la sua rilevanza, un istituto internazionale, quale il World Economic Forum (WEF) valuta l’Italia un paese indietro.
Penalizzata da un sistema che non riesce a dare pronte ed efficaci risposte alle esigenze delle imprese e dei singoli cittadini, che non riesce a riformare un apparato burocratico ancora troppo pesante, inefficiente e certamente poco trasparente.

Così non sorprende che nella classifica 2009 sulla competitività stilata dal WEF l’Italia occupi solo la 48esima posizione, superata persino dalla Tunisia e dalla Polonia e staccata da tutti gli stati europei principali concorrenti del nostro Paese: Gran Bretagna (13esima), Francia (16esima) e Spagna (33esima). E lontanissima da Germania (in sesta posizione) e dai i paesi scandinavi (Svezia 4°, Danimarca 5°, Finlandia 6° e Olanda 10°) che insieme all’Olanda (10 posizione) si collocano nella top ten dei paesi più competitivi.

A far sprofondare l’Italia, tra gli indicatori presi in esame dal WEF, sono quelli relativi alle istituzioni: trova così conferma l’idea che le istituzioni italiane non vangano ben valutate per la loro incapacità a mettere in moto un serio e credibile rinnovamento etico ancor prima che strutturale:
– l’efficienza del sistema legale (128°)
– la protezione degli interessi dei soci di minoranza (124°)
– lo spreco del denaro pubblico (121°)
– la trasparenza delle decisioni politiche (109°)
– la fiducia pubblica nei politici (107°)
– stabilità macro-economica (102°)
– le istituzioni italiane (92°)
– le infrastrutture (59° posto, grazie alle linee telefoniche 34° e nonostante la qualità degli aeroporti 85°)

Desolante anche la posizione dell’Italia in termini di istruzione: nel 2009 frena la spesa per l'istruzione (65°), la qualità dell'istruzione secondaria arranca (87°) e cala la formazione del personale (118°).

Il mercato del lavoro risente negativamente di:
– difficoltà nelle pratiche di assunzione e licenziamento (128°)
– binomio salari e produttività (124°)
– scarsa collaborazione tra dipendenti e datori di lavoro (123°) e ridotta flessibilità nella contrattazione salariale (126°)
– scarsa partecipazione delle donne (90°) e dal brain drain (91°).

Le preoccupazioni degli imprenditori sul credito trovano riscontro nella 98esima posizione per l'accesso ai prestiti e nella 104esima per la disponibilità di venture capital.

In un quadro tanto negativo emergono poche punte di eccellenza dell’Italia che non riescono a bilanciare di molto la situazione generale. L’Italia, infatti, secondo il Wef continua a distinguersi in alcune aree complesse: la 'Business Sophistication' (20°) ovvero la capacità espressa dal sistema delle imprese, le dimensioni del mercato (9°) e lo sviluppo dei distretti (3°).

Per l’Italia c’è ancora molto da fare per scalare la classifica del Wef. La Svizzera, leader della classifica dei 133 Stati presi in esame, è molto lontana. Premiata per la competitività che è riuscita a dimostrare, nel 2009 la Svizzera è riuscita a superare gli States indeboliti dalle recenti turbolenze e degli scandali finanziari seguiti al crollo della Lehman Brothers, grazie a
– "relativa stabilità" durante la crisi
– capacità di innovazione e cultura di impresa
– efficienza e trasparenza delle istituzioni pubbliche
– infrastrutture
– ottimo funzionamento del mercato del lavoro.

Gli esempi positivi che emergono dalla classifica, alcuni dei quali a noi molto vicini, dovrebbero indurre ad una riflessione e offrire spunti interessanti per un cambio deciso di rotta, senza il quale la ripresa economica, in cui tutti sperano, difficilmente potrebbe essere agganciata anche dall’Italia.