L’Italia sta attraversando “uno dei più lunghi periodi di bassa crescita della recente storia italiana” come lo ha definito il Presidente dell’Istat, Buggeri, presentando a Montecitorio il Rapporto annuale del suo Istituto. Un periodo in cui insicurezza e timore cresce, mentre gli entusiasmi per l’entrata in Europa e l’avvio del mercato unico europeo sono ormai del tutto svaniti. Un paese in declino, dunque, in cui la crescita è tra le più basse d’Europa e molto più bassa rispetto agli Stati Uniti ed agli altri paesi emergenti (Cina ed India), la competitività è ai minimi storici, i ricercatori sono pochi e la burocrazia ancora troppo costosa. Per avere un quadro completo del declino in atto riportiamo alcune cifre chiave contenute nel primo check-up sullo stato della competitività in Italia curato dal Centro Studi Confindustria.
Reddito procapite: mentre nel 1996 il valore era cresciuto più della media europea e l’Italia aveva superato l’Inghilterra nella classifica dei potenti, dal 2003 la situazione è peggiorata. Il reddito pro capite è tornato sui livelli medi europei. L’andamento negativo è confermato anche dal raffronto tra il valore italiano e quello statunitense: vent’anni fa, il nostro era l’80% di quello americano. Oggi il valore è sceso al 70%.
Produzione: negli anni ‘80 la crescita la produzione italiana cresceva a ritmo del 3% all’anno. Oggi, complice l’euro forte ed il caro petrolio, siamo scesi all’1% ed il 2005 sarà un anno a crescita 0. Esportazioni: tra il 1998 e il 2004 l’Italia ha perso importanti quote di mercato, passando dal 4,8 al 3,8%, sia a causa dell’euro forte, che del pessimo approccio al mercato internazionale, scontando la cattiva abitudine delle operazioni di svalutazione monetaria.

Burocrazia: il peso della burocrazia sta diminuendo, ma il processo è ancora lungo. Ad essere penalizzati sono i privati cittadini e le imprese, soprattutto quelle in fase di start up. Basti pensare che per avviare una nuova attività nel nostro paese sono richiesti 9 procedimenti e 3.800 dollari. Un po’ più a Nord, sempre in Europa, in Danimarca sono richiesti 4 procedimentiper un costo complessivo di 0 euro. Servizi: tutti i servizi in Italia costano più che altrove. L’adeguamento dei prezzi a quelli europei non si è verificato anche nel campo delle tariffe. Si stima che un’impresa italiana debba pagare mediamente il 20% in più rispetto ai colleghi europei per i costi relativi ai servizi bancari.Per aprire un conto corrente bancario con servizi minimi standard, ad esempio, un italiano deve pagare 113 euro (25 gli euro pagati in Olanda, 75 euro il prezzo medio europeo).

Ricerca: su questo fattore strategico si investe ancora troppo poco.Mediamente in Europa si investe il 2% del PIL, una percentuale molto bassa rispetto alle prospettive del trattato di Lisbona. In Francia, Germania e Danimarca il valore è del 2,5%; in Svezia è del 4,7%. A confermare il basso interesse per la ricerca è anche il numero di ricercatori in Italia: il 2 per mille rispetto al totale degli occupati. La media europea, invece, è del 6 per mille. Istruzione: è un altro di quei parametri che prospetta il futuro di un “Sistema Paese”. In Italia si contano pochi laureati (il 12,5% di laureati tra i giovani tra i 24 e i 35 anni). Solo la Turchia in Europa sta peggio di noi. Occupazione: nel 2004 si è scesi all’8,1%, contro il 6,7% dell’area Eurostat. L’Italia, ancora in ritardo rispetto a molti paesi europei, negli ultimi 6 anni ha recuperato parte del gap che ci divideva dai leaders europei (Regno Unito, Francia, ecc.), grazie a nuove formule che qualcuno definirà troppo precarie e flessibili ma che sono assolutamente compatibili con l’attuale scenario economico. L’Ocse purtroppo prevede un ritorno alla crescita del tasso di disoccupazione in Italia dal 8,1% del 2004 al 8,4% del 2005. Anche se questi numeri fotografano in maniera spietata la realtà italiana, è necessario rimboccarsi le maniche e avviare una serie di azioni che siano un’iniezione di fiducia indispensabile per una reale inversione di tendenza. Le azioni concrete da compiere sono quelle che ripetiamo in maniera ossessiva sulle colonne di Spazio Impresa ormai da 2 anni:

compiere scelte coraggiose per dare una vocazione imprenditoriale precisa al “Sistema Italia” (puntare su settori precisi della nostra economia abbandonando la strada dei finanziamenti “a pioggia”);

programmare sempre e qualsiasi livello (politico, imprenditoriale, ecc.) le attività da compiere;

essere sempre trasparenti; promuovere una nuova cultura imprenditoriale di sostanza e non solo di relazione;

rendere la gestione del credito più trasparente e veloce; salvaguardare gli interessi non di poche corporazioni ma dell’intero paese;

aprire i sistemi chiusi per generare maggiore competizione e più servizio.