E’ forse un effetto della crisi o un naturale processo di crescita, ma il private label è un fenomeno che sta crescendo a ritmi molto elevati. E che sta creando qualche preoccupazione ai grandi brand che fino a qualche tempo fa dominavano quasi incontrastati il mercato.

Ora che i consumi nel nostro Paese iniziano a ridursi pesantemente in conseguenza della limitata capacità di spesa, molte grandi imprese stanno correndo ai ripari, come conferma anche Centromarca.

La penetrazione del private label sul mercato dei prodotti di largo consumo non è ancora paragonabile a quella che si registra in Gran Bretagna o in Francia, ma la quota di mercato sulle vendite del private label sta crescendo a ritmi sostenuti: in poco più di due anni, tra il 2006 e marzo 2009, la crescita stimata è pari al 18%, contro le vendite delle grandi marche che, nello stesso arco temporale, sono calate dal 58,7% al 56,2%. I grandi marchi stanno quindi sperimentando nuove strategie per arginare questo processo e tornare ad esercitare grande appeal sui consumatori. Le strategie aziendali di queste imprese ruotano di solito intorno a 3 fattori chiave:

1. innovazione

2. comunicazione

3. prezzo.

Luigi Bordoni, presidente di Centromarca, a Corriere Economia spiega che "l’innovazione è un campo su cui si combatte la battaglia tra private label e grandi marche: anche insegne come la Coop stanno iniziando ad investire massicciamente sull’innovazione e questo è un inevitabile segnale che la concorrenza sta salendo di livello e che i prodotti private label hanno dalla loro parte prezzi vantaggiosi e qualità tutto sommato più che soddisfacenti".

Sono casi emblematici quelli della Nestlé, della Barilla e di Riso Scotti, tre giganti in campo alimentare. La strategia della prima è illustrata per sommi capi da Manuel Andrés, capo mercato della multinazionale svizzera in Italia: "sapere che un consumatore può trovare prodotti a costi più contenuti, ci spinge a lavorare ancora più intensamente dove siamo già forti, attraverso la ricerca e la tecnologia". Menziona il caso dei gelati Motta e La Cremeria, adattati per chi soffre di celiachia, o quelli a basso livello di lattosio. "Per poter ricevere la certificazione "gluten free" abbiamo dovuto rivedere radicalmente ricette e processi di produzione", ammette Andrés. Nel petfood, invece, Nestlé ha di recente lanciato, a marchio Purina, un alimento a base di colostro per i cuccioli.

Barilla, dal canto suo, prova a rispondere all'avanzata del private label con un ampliamento della propria offerta con il lancio mediamente di 20/30 nuovi prodotti ogni anno sul mercato e indagini di marketing (vedi la ricerca del nome del biscotto che ha coinvolto circa 40 mila clienti).

Riso Scotti, invece, ha iniziato a produrre per Coop, Selex, Pam, Bennet, Despar. Il 30% del fatturato aziendale ormai deriva da queste commesse. Altro aspetto chiave della strategia d’impresa è la diversificazione della produzione che ha portato, negli ultimi anni, alla vendita di prodotti a marchio “Scotti” di alimenti complementari al tradizionale riso, come la pasta di riso, l’olio di riso e le risette che oggi rappresentano un ragguardevole 42% sul giro d'affari. Una scelta quasi obbligata quella del brand Scotti visto che le “marche private hanno al 37% di quota nel riso – ammette Dario Scotti, presidente di Riso Scotti spa – Cresce di due punti all'anno e continuerà nei prossimi anni”.

Importanti sono anche le reazioni dei grandi brand sul fronte dei prezzi: Parmalat, ad esempio, nel 2009 prevede l'incremento degli investimenti in comunicazione (+20% vs. 2008), in controtendenza rispetto ad altre grandi imprese, e ha deciso, ad inizio 2009, di abbassare i prezzi al cliente finale per limitare i danni di un private label che nel settore del latte fresco sta rosicando importanti quote di mercato: oggi rappresenta il 18% contro l'8-9% del 2008.

Che il rapporto con il private label sia un argomento delicato lo dimostra il fatto che multinazionali come Kraft e Kimberly Clark (Scottex), nei settori più colpiti, l'alimentare e la carta, preferiscono tacere Ma c’è chi giura che anche queste imprese stanno vagliando nuove strategie per passare al contrattacco.