Il private equity è cresciuto tra gennaio e settembre 2008 a ritmi record rispetto allo stesso periodo del 2007, ma ha dovuto confrontarsi con la crisi dei mercati finanziari e, soprattutto, con il crack Lehman Brothers che ha bloccato tutte le operazioni di finanziamento di media e grande dimensione.

In Italia le ripercussioni della crisi finanziaria sul mercato del private equity sono state più contenute. Giampio Bracchi, presidente di Aifi ha confermato in un’intervista rilasciata a Il Sole 24 Ore che "continuano le operazioni di private equity che coinvolgono le piccole e medie imprese per le quali sono richiesti finanziamenti di alcuni (o al massimo decine) di milioni e che trovano accoglimento presso le banche locali". Così mentre molti private equiter hanno registrato un calo di adesioni ed hanno dovuto rimandare alcune attività, anche a causa del clima di incertezza nel quale si trovano gli investitori, esiste una riserva di liquidità che molti fondi italiani, grazie alle raccolte effettuate nel 2007 e nei primi mesi del 2008, possono gestire.

Fondi che consentono loro di investire in un contesto che Bracchi definisce “ideale”, in quanto consente di “comperare a prezzi bassi o ragionevoli e disporre di 3-5 anni per valorizzare l'azienda per rivenderla in un contesto più favorevole. Le stesse condizioni che si sono registrate per i fondi di private equity che hanno reso di più nella storia in Italia e cioè nel periodo 1992-1993 e nel 2001-2002, quando si poté acquistare a prezzi convenienti aziende non quotate, rivendute a prezzi molto superiori 4 o 5 anni dopo”. Il private equity delle Sgr indipendenti dispongono di risorse pari a circa di 7 miliardi da utilizzare per investimenti e, quasi altrettanti, i fondi di Sgr bancarie e di comparti Paneuropei che intendono investire in Italia.

Il loro ruolo diventa ancora più rilevante per il rilancio dell’economia italiana: mentre le banche richiedono alle imprese crescenti garanzie prima di concedere dei prestiti, questi fondi potrebbero sostenere le medie imprese nei processi di internazionalizzazione, attraverso acquisizioni delle imprese italiane o di quelle estere di interesse per le aziende italiane. Le banche, dal canto loro per rientrare nei ratios patrimoniali dovranno dismettere asset molto redditizi ma non strettamente legati al proprio core business, nel segmento parabancario e nei servizi finanziari, lasciando ampio raggio d’azione al private equity. "E' qui che vedo ottime opportunità per i private equity sia da soli sia in affiancamento a soggetti specializzati pronti ad acquisire le attività bancarie in vendita", conclude Bracchi.