L’export per molte imprese italiane rappresenta una strada obbligata per mantenersi a galla o per ricominciare a crescere. La selezione dei mercati esteri di sbocco deve però essere effettuata con competenza e professionalità, prendendo in esame alcuni aspetti rilevanti come il “rischio paese”.

Il rischio paese indica un insieme di rischi che emergono quando un’impresa si rivolge ad un mercato estero con investimenti oltre i confini nazionali. Tali rischi risultano maggiori quanto più alta è la differenza politica, economica e sociale che vi è tra il paese dell’investitore e quello in cui viene effettuato l’investimento.

La Sace, società che assicura il credito all’export, ha realizzato una mappa sulla rischiosità di tutti i paesi, misurando la vulnerabilità politica, economica finanziaria ed operativa di oltre 190 paesi cui attribuisce un indice di rischio distinto in 9 livelli:

– basso o low (L1, L2, L3)
– medio o medium (M1, M2, M3)
– alto o high (H1, H2, H3)

A giugno 2010 è emerso un miglioramento su scala mondiale trainato da 3 importanti paesi, quali Brasile, Russia e Sudafrica. Tra le tendenze in atto si segnala come inedita rispetto al passato la “riduzione della forbice tra economie avanzate e paesi emergenti”, precisa Camilla Cionini responsabile Sace degli Studi Economici. Accade quindi che “si è ridotto il gap tra paesi avanzati, tradizionalmente considerati come rick free e oggi esposti a vulnerabilità più o meno latenti, e quelli emergenti, che hanno mostrato, al contrario, le maggiori capacità di ripresa dopo la crisi”.

Migliora in termini di rischio paese la posizione di Brasile ed Africa, mente restano sostanzialmente invariate le situazioni di altri giganti mondiali come Cina ed India. Nell’eurozona si segnala un peggioramento per Grecia, Irlanda e Portogallo che non stupisce viste le difficoltà registrate da questi paesi a seguito della crisi finanziaria. Positivo invece il posizionamento di Russia, Kazakistan e Tagikistan, segnalati come paesi a rischio medio, non più elevato.

In Asia, la Corea del Sud si avvicina alle economie più avanzate; in America Latina è il Brasile a mostrarsi quale potenza economica trainante, seguita anche da Perù e Panama. In Africa Kenya, Sierra Leone e Repubblica del Congo passano da un livello di rischiosità H3 a H2, dove il rischio pur restando elevato tuttavia rivela una buona prospettiva di stabilizzazione.

Questi dati possono tornare utili alle imprese italiane. Se non oggi, di sicuro a brevissimo. Ne è convinta la Cionini che prosegue “oggi circa il 65% del nostro export va verso le economie avanzate, ma si tratta di una quota che tenderà a ridursi a favore dei mercati emergenti”.

Questi paesi, e pensiamo ad esempio a Russia e Cina, offrono un bacino di domanda molto rilevante che potrà ffrire importanti prospettive di espansione agli operatori italiani che sapranno cogliere per tempo le opportunità derivanti da questi nuovi sbocchi. Ormai è sol questione di tempo.

Inoltre, le imprese dovranno cercare di diversificare i propri mercati: “per le imprese la sfida del futuro sarà la diversificazione delle destinazioni” conclude la Cionini. Non basterà quindi individuare un unico paese come partner commerciale e sbocco principale dei propri prodotti. Ci sono mercati oggi poco conosciuti o ancora inesplorati, come l’Azerbaijgian. E’ lì che si dovranno orientare gli investimenti italiani all’estero. In quei paesi la concorrenza è minore e le prospettive di crescita risultano davvero interessanti.