Un tempo c’era il brand ad identificare un prodotto. Un nome commerciale unico ed irripetibile, indissolubilmente legato al prodotto commercializzato. Poi è giunta l’era delle certificazioni di qualità: Doc (denominazione di origine controllata), Dop (denominazione di origine protetta) e Igp (indicazione geografica tipica).

Certificazioni che hanno inteso regolamentare le produzioni di qualità, al fine di rafforzare il valore di un prodotto Italia e di tutelarlo nei mercati esteri. Marca e certificazione hanno rappresentato per anni il fulcro della strategia messa in campo dalle nostre autorità per difendere il "made in Italy".

Una strategia che, a tutt’oggi, non sembra aver dato gli esiti sperati, come dimostrano le tante contraffazioni esistenti dei nostri prodotti di punta. Un risultato che se da un lato risulta quasi inevitabile in uno scenario di globalizzazione, dall’altro potrebbe essere stato accentuato da scelte strategiche errate.

Basti pensare, ad esempio, che mentre la proprietà intellettuale viene efficacemente difesa con i diritti d’autore, il copyright e la difesa di monumenti ed opere d’arte è stata affidata ad organismi internazionali importanti come l’Unesco, in pochi si preoccupano di tutelare il territorio italiano.

Un prodotto è la somma di elementi fisici e tangibili (es.le materie prime, ecc.) e di elementi immateriali, quali ad esempio i metodi di lavorazione e produzione, il paesaggio e il territorio di origine.

Pensiamo ad esempio alle specialità nostrane realizzate da tanti piccoli artigiani sparsi sul territorio nazionale. Prodotti alimentari e non, unici ed irripetibili, provenienti da tradizioni locali ultrasecolari. Il paesaggio rappresenta per questi un elemento fortemente caratterizzante, in grado di suscitare l’interesse dei consumatori ed, in alcuni casi, anche di attrarre nuovi flussi turistici, come conferma il recente risveglio del turismo eno-gastronomico.

E mentre i turisti, anche stranieri, scoprono le bellezze paesaggistiche italiani, nessuno in Italia sembra cogliere l’effettiva importanza del territorio e del legame, ai fini della tutela del made in Italy, che naturalmente unisce prodotti e contesto di origine. La valorizzazione di un prodotto può e deve passare attraverso la valorizzazione del paesaggio.

Non è sufficiente riportare la dicitura “prodotto tipico” sull’etichetta di un prodotto. Tipico è un termine piuttosto inflazionato quando si parla, ad esempio, di prodotti alimentari ed artigianali. Ma di per sé non significa nulla, non richiama una legge che ne restringa il campo di impiego, come accade ad esempio per i marchi Dop o di produzione biologica.

Se si vuole competere sui mercati esteri, è probabilmente necessario ripensare la strategia di difesa e promozione delle tipicità italiane. Ci sono tante prelibatezze tipicamente italiane come la mortadella, la mozzarella di bufala, grana padano, asiago, fontina, gorgonzola, Marsala, grappa, Chianti, pecorino romano, parmigiano reggiano che attendono di essere tutelati dai tanti plagi esistenti in Italia all’estero.

Potrebbe essere opportuno puntare di più sul legame tra i prodotti e la loro origine, laddove per origine si intende il contesto produttivo, sociale e culturale che lo ha generato. Perché se è vero che un prodotto più ha successo e più tende ad essere imitato e contraffatto (vedi il caso della moda italiana) è altrettanto vero che il contesto di provenienza è unico ed irripetibile.

Portare sulle nostre tavole il prosciutto di Parma significa portare non solo delle anonime fette di origine animale, ma richiamare con esse un intero mondo, quello parmense, con le sue peculiarità storiche socio-economiche, paesaggistiche e persino climatiche in grado di lasciare nel prodotto una traccia ancora più profonda del profumo e del sapore. Tutto questo che, forse, potrebbe valere più di un marchio ancora oggi vale meno di una marca. Considerazioni che dpovrebbero far riflettere e rivedere le modalità di promozione del nostro paese e delle sue tipicità.