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Mondiali 2010: un business che sfida la crisi

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Per la prima volta i mondiali si svolgono nel continente africano. Così al tradizionale affetto che lega gli sportivi di tutto il mondo a questa manifestazione sportiva di prim’ordine, si somma la curiosità dell’incontro con una cultura e tradizioni molto diverse.

Dietro i mondiali si celano però anche enormi interessi economici. Basti pensare che gli Americani sono primi tra gli acquirenti stranieri di biglietti per vedere le partire africane, mentre la Corea del Nord ha deciso di punire i dissidenti, oscurando le partite, segno tangibile dell’interesse che questo evento suscita in tutto il pianeta.

La Fifa è riuscita a cavalcare la febbre mondiali riuscendo a chiudere il 2009 con profitti record che ammontano a 169 miliardi. La crisi economica ha spinto ad un ritocco al ribasso delle previsioni: dai 450 mila turisti inizialmente previsti si è scesi a 370 mila, (i mondiali tedeschi hanno ne hanno accolto ben 2 milioni), mentre la vendita dei biglietti risulta al di sotto delle aspettative. Le maggiori entrate dell’evento mondiale hanno riguardato i diritti televisivi (pari a 2,5 miliardi di dollari, più del doppio rispetto a quanto incassato nell'edizione tedesca) e gli sponsor ufficiali della manifestazione. I 125 milioni di dollari richiesti dalla Fifa non hanno scoraggiato i numerosi sponsor che si sono candidati, per ottenere visibilità durante l'evento.

Questi numeri indicano che il calcio è un business di tutto rispetto: “il pallone tedesco – spiega Alberto Marchi di Mckinsey & Companyha un giro d’affari complessivo visino ai 5 miliardi di dollari, lo 0,2% del Pil nazionale e dà lavoro a 70 mila persone, garantendo alle casse dello Stato 1,5 miliardi di entrate fiscali l’anno”.

Il montepremi dei mondiali è molto appetibile: si tratta di ben 240 milioni di dollari, il 60% in più rispetto a Germania 2006, di cui 30 sono destinati alla squadra vincitrice.

Ogni nazionale che partecipa al mondiale ha una sua quotazione, quantificata nello studio “Frontier Economics”, condotto da una società londinese di consulenza. In ordine decrescente di valore troviamo
1. la Spagna: il parco giocatori vale 303 milioni di euro (10 milioni in media per giocatore) grazie a giocatori come Iniesta e Torres che valgono rispettivamente 44 e 43 milioni.
2. l’Argentina di Maradona: vale 293 milioni, la metà dei quali assicurata da Messi
3. l’Inghilterra di Capello: 266 milioni
4. il Brasile: 223 milioni
5. il Portogallo: 201 milioni, di cui 95 assegnati a Cristiano Ronaldo
6. la Francia: 180 milioni
7. la Germania e l’Olanda: ex aequo a 156 milioni

E l’Italia campione del mondo? La nostra nazionale ha subito negli ultimi anni un fortissimo deprezzamento, sia per la presenza di giocatori poco conosciuti come Bocchetti e Cossu ed altri che ormai hanno superato una certa età come Cannavaro che nel 2006 valeva 7 milioni di euro ed oggi non supera i 3 milioni di euro. In più scontiamo l’assenza di nomi celebri del calcio nostrano, che avrebbero diversamente pesato in termini di business, come Totti e Del Piero.

Anche dal punto di vista dei club l’Italia si connota per un approccio decisamente poco imprenditoriale. Inter e Milan, come del resto molti altri club internazionali, come Arsenal e Liverpoool, hanno richiesto iniezioni finanziarie da parte dei loro Presidenti o di capitali esotici provenienti da Uzbekistan, Russia ed Emirati Arabi.

Uno dei più grossi problemi deriva dai forti costi del personale: l’Inter, ad esempio, paga ben € 0,86 per ogni euro ricavato ai suoi giocatori e la media dell’incidenza del personale sui ricabvi per le squadre di serie A è salita dal 63 al 67%.

In un’ottica di gestione manageriale delle squadre, che si avvicini a quella delle aziende e di altri team esteri, sarebbe opportuno prevedere dei compensi più commisurati ai risultati sportivi conseguiti ed aggiungere una serie di altre iniziative finalizzate ad incrementare i ricavi come
1. stadi di proprietà che consentano di allargare la base della clientela. “Il coefficiente di riempimento degli spalti tricolori è del 40%” precisa Marchi che ricorda anche che “Lo Stanford Bridge del Chelsea ha solo 45 mila posti ma è sempre pieno”. In Inghilterra ogni spettatore spende in media circa 100 euro, contro i 20-30 in Italia.
2. Biglietti aziendali:
è un fenomeno molto ampio fuori dall’Italia. Si tratta della clientela corporate che acquista i biglietti
3. I diritti del calcio da vendere anche all’estero. Anche in questo settore siamo alquanto arretrati: noi incassiamo solo un quinto di quanto ricavano in Gran Bretagna e Spagna.

4. Merchandising: che può essere una leva anche per i team più piccoli.

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