Amministratore delegato Fiat, vicepresidente non esecutivo della maggior banca svizzera, Ubs. Italo-canadese, ma in buona misura cresciuto professionalmente in Svizzera, in Alusuisse, Lonza, Sgs.

Diviso tra il quartier generale di Torino e il luogo di residenza nella Confederazione. Manager multinazionale, di fatto si può dire anche cittadino elvetico. Sergio Marchionne non poteva mancare al convegno presso il Centro Svizzero di Milano, «Leadership in a world of change». E infatti arriva, seppure di corsa. Ha un colloquio riservato con Doris Leuthard, Ministro elvetico dell'Economia. Poi risponde brevemente alle inevitabili domande dei giornalisti sull'auto e sulla Fiat, prima di svolgere il suo intervento. La nuova 500 procede, «le vendite sono a quota 205mila dal lancio», dice Marchionne. In Polonia la capacità produttiva è a 190mila «e lì ci fermiamo». La Cabriolet 500 è confermata per l'anno prossimo. Più in generale, «in Italia il mercato a maggio è stato debole, ma difendiamo la nostra quota. Siamo in calo ma ci stiamo lavorando», afferma. Quanto agli Usa, «ci aspettavamo dei problemi, dopo le nuove normative ambientali. Ma andiamo avanti, non ho abbandonato gli Stati Uniti».

Poi raggiunge gli altri relatori. Ci sono Carlo De Benedetti, presidente Cir, Mario Moretti Polegato, presidente Geox, l'imprenditrice Marina Salamon. Sul versante elvetico, Claudio Generali, presidente dell'Associazione bancaria ticinese, Fides Baldesberger, presidente della Outils Rubis Sa, Beatrice Weder di Mauro, svizzera ma consigliere del Governo tedesco. La Leuthard parla dell'importanza dei rapporti economici tra Svizzera e Italia, con la Penisola ormai secondo partner commerciale della Confederazione, alle spalle della Germania. Ma anche della leadership in politica, che va coniugata, dice, con un governare che è anche prevedere, persuadere, rendere consapevoli delle scelte effettuate.

Marchionne gioca prevalentemente sulla sua sponda, quella del management e dell'economia. Ma non tralascia accenni robusti ai valori di sistema e al sociale. La Svizzera funziona sostanzialmente bene, dice, perché tiene fede alle promesse, è affidabile. Ci sono le difficoltà delle due grandi banche, Ubs e Credit Suisse, incappate nei subprime Usa, ma il sistema elvetico non è fragile e i cambiamenti in Ubs mostrano la volontà ora di proteggere questo sistema, senza spazzare via tutto con un temporale.

La Svizzera non casualmente resta nei primi posti delle classifiche sulla competitività. Marchionne cita in particolare la Svizzera francese, che conosce bene: è aperta e internazionale, dice, sede di organizzazioni mondiali e al tempo stesso di imprese di primo piano. Gli stranieri si trovano bene perché incontrano un sistema di valori, anche all'interno delle aziende si lavora bene insieme.

Forse, la Confederazione ha nonostante tutto ciò un problema, è talvolta "low profile" in un mondo che richiede spesso ambizione. Ma il quadro elvetico nel complesso resta positivo, la leadership non è solo una parola. Oggi occorre più che mai "correre ed evolvere", spiega Marchionne con riferimenti letterari, ad Alice nel Paese delle meraviglie. E poi, un altro suo cavallo di battaglia: «Bisogna cambiare quando si va bene – dice – è più facile ed è meno costoso. Il cambiamento è una necessità».

Non c'è peraltro una ricetta universale. Ogni singola sfida è a suo modo irripetibile. Ci sono, questo sì, alcune leggi universali e tra queste quella della qualità del management, come dimostrano le sfide vinte da imprese o gruppi complessi, tra cui l'americana General Electric. Ma attenzione, citare esempi Usa non significa che non bisogna guardare all'Europa. Anzi, oggi il Vecchio continente è tornato ad essere competitivo. Basta guardare alla Germania, data negli anni scorsi quasi per morta e ora invece più che mai in corsa. Tra i punti di forza tedeschi ed europei, c'è il valore della coesione sociale, che non abbonda negli Usa e che invece è una chiave di volta, anche in economia.

Marchionne cita anche il rilancio della Fiat, avvenuto grazie a molti elementi aziendali e di management ma anche grazie alla coesione. Ricorda che il britannico «Economist», mai molto tenero con tutto ciò che è italiano, ha pure parlato di "miracolo a Torino". In conclusione, dice l'ad Fiat, il destino resta in fondo aperto e dipende da noi, lo facciamo cambiando anche noi stessi. Ci vuole comprensione dei fatti aziendali ed economici, ma ci vuole anche un forte senso etico, una definizione che rimane attuale. Quanto alla leadership, concetto al centro del convegno italo-svizzero, si può alla fine forse indicare come «l'arte di guidare e di far crescere gli altri, per esprimere il meglio delle capacità». Poi Marchionne va, perché gli impegni sono debordanti. E lui deve esercitare molto anche l'arte del viaggio, per attuare concretamente la leadership.

Fonte: http://www.ilsole24ore.com