Zara, H&M, Mango ed Esprit solo solamente alcuni dei brand più noti nel mondo dell'abbigliamento di fascia media negli ultimi anni.

A loro il merito di aver introdotto importanti innovazioni in un settore ormai maturo del made in Italy, l’abbigliamento. E di averlo fatto con novità che hanno avuto una tale portata da costringere i brand più famosi a rivedere i loro modelli di business. I principali cambiamenti nel mercato, per contrastare meglio il fenomeno della spietata concorrenza, hanno riguardato soprattutto la tempistica e la struttura delle collezioni, la gestione della supply chain e delle reti di vendita, ottenendo un enorme successo in termini di fatturato e ritorni sugli investimenti.

Nell’ultimo quinquennio questi operatori, detti fast fashion, sono cresciuti (fonte: uno studio Bain & Co condotto per conto di CSC) in media del 15-20% (nello stesso periodo il segmento del lusso è cresciuto dello 0,8% e l’abbigliamento femminile dello 0,1%); il loro valore di mercato è salito dell’11%, i loro punti vendita sono più o meno raddoppiati e ormai si trovano nelle zone più prestigiose delle principali città metropolitane.

“Il fast fashion ha prodotto una discontinuità che tutti gli attori del settore devono affrontare: – spiega Andrea Ciccoli, partner di Bain & Co – i ‘premium player’, come Gucci e Diesel, devono definire delle best practice che non compromettano il loro posizionamento esclusivo, i ‘branded player’, come Benetton e Nike, devono rivedere la gestione degli assortimenti e della supply chain, e così via”.

I grandi marchi non possono non tenere conto di queste recenti tendenze che investono il mondo della moda. Il cliente fedele ad un unico marchio sembra ormai perduto chissà dove e anche quello che veste firmato dalla testa ai piedi si incontra sempre più raramente. Ecco che in ambito fashion inizia a prevalere la tendenza a mischiare capi di lusso (Armani, Ferrè, Versace, solo per citare alcuni marchio di alta moda italiana) con altri di minor valore commerciale (ad esempio una camicia Zara, pantaloni di H&M, la giacca di Promode o di uno dei tanti marchi del cosiddetto fast fashion).

«I consumatori del lusso – racconta Claudia D´Arpizio partner di Bain&Co – mischiano sempre più cheap e chic. Una sorta di rivoluzione che ha condizionato anche i protagonisti del lusso». E che si sono adeguati ai principi che hanno decretato il successo dei marchi “fast fashion”. Hanno iniziato a creare due precollezioni, associandole alle due collezioni istituzionali primavera/estate e autunno/inverno. Alcuni addirittura ne realizzano altre quattro, chiamandole collezioni flash.

Un’altra tendenza ormai diffusa per gli operatori fast fashion è quella di aprire nuovi punti vendita nel mondo, puntando sempre più sulle zone esclusive di grandi città metropolitane (Milano, Londra, Tokyo, New York) un tempo location esclusive delle maison italiane più blasonate.

«I punti vendita – spiega in proposito la D´Arpiziovivono, creano un’esperienza. La gente torna tante volte perché trova sempre qualcosa di nuovo». E’ la velocità di riassorbimento viene premiata sempre più, quella che Claudia D´Arpizio ha ribattezzato la "newness del punto vendita".

Tempo fa intervistato da un gruppo di consulenti, Josè Maria Castellano Rìos (ceo di Inditex la capogruppo di Lacorugna che controlla diversi marchi tra cui Zara), ha parlato dell’idea di business del gruppo. «L’idea originale era molto semplice. Collegare la domanda del consumatore alla produzione, e collegare la produzione alla distribuzione. Ancora oggi, questa è l’idea che perseguiamo ogni giorno». Come per il gruppo spagnolo, l’impianto è lo stesso per tutti gli operatori del fast fashion. Il loro time-to-market è estremamente ridotto: una parte più o meno consistente della collezione (dal 25% al 40%) viene disegnata e consegnata nei negozi nel giro di poche settimane (mediamente da 4 a 6).

E’ uno stravolgimento del tradizionale modello di business che richiede interventi in aree strategiche come logistica e distribuzione. Zara per rispettare questa tempistica ha una struttura integrata verticalmente (controlla persino le tessiture e dispone di una sua flotta di aerei per consegnare le sei-sette collezioni che sforna ogni anno), H&M produce nel Far East demandando a terzi le fasi della distribuzione. Esprit (joint venture tedesco-cinese), altra etichetta "fast", invece, ha una produzione a getto continuo: in vetrina va una collezione nuova ogni mese.

Ai grandi marchi non resta che fare i conti con le nuove tendenze del mercato. E se diventa difficile stravolgere un modello di business basato su tempi decisamente più lunghi, stanno cedendo alla tentazione di affiancare collezioni flash a quelle più tradizionali per competere con il fast fashion.

La novità continua a costituire il tratto più distintivo di questo fenomeno. Dopo lo sbarco nel Belpaese degli spagnoli di Zara, è stata la volta degli svedesi di H&M e dell’etichetta Esprit, di Mango (spagnolo), Top Shop (inglese), Forever 21 (Usa) e Best Seller (Danimarca). A tenere alti i colori italiani ci pensano Motivi (gruppo Miroglio) e la stilista Patrizia Pepe, quest’ultima nata come etichetta della moda pronta per conto terzi, qualche anno fa ha deciso di investire nella creazione di un marchio proprio, posizionandosi in una fascia alta del mercato. Si è riposizionato sul mercato anche Mango che nel 2006 ha scelto come testimonial Claudia Shiffer, volto molto noto delle passerelle mondiali e ha creato una nuova linea, "Mng", molto sofisticata.

Ma se è vero che i marchi del fast fashion hanno rivoluzionato le regole del mondo modaliolo, costringendo quelli del lusso a adeguarsi, è altrettanto vero che le maison storiche, che hanno portato il nome dell’Italia in tutto il mondo, mantengono un prestigio che sembra quasi inattaccabile. «I marchi del lusso – spiega Claudia D´Arpiziodefiniscono i trend. Creano le tendenze. I fast fashion retailer li seguono». I big del mercato devono quindi ridisegnare la loro catena produttiva e distributiva, senza perdere in creatività ed autorevolezza. Perché mentre i capi fast si acquistano e si mettono da parte nel giro di poche settimane, i capo di lusso durano più a lungo e fanno sognare chi li indossa. Sempre, non solo per poche settimane.