Il mercato del lavoro italiano arranca. Soprattutto quello giovanile che negli ultimi 20 anni è stato investito da un radicale processo organizzativo basato su formule contrattuali nuove e flessibili. A confermare la preoccupante situazione in cui versano molti ragazzi italiani è anche Guidalberto Guidi, Amministratore Delegato della Ducati Energia, a capo dell’Anie, Federazione Italiana delle imprese Elettrotecniche ed Elettroniche aderente a Confindustria. Per i ragazzi italiani sembra non esserci altra strada che fare le valigie ed andare all’estero. Perché in Italia di posti ce ne son pochissimi destinati ai giovani, come confermano alcune recenti rilevazioni statistiche. Nei primi 9 mesi del 2009 le domande di accesso all’indennità di disoccupazione hanno superato il milione e mezzo e oltre 60 mila sono state quelle per mobilità. La domanda di cassa integrazione è aumentata del 300-400%. Il tasso di disoccupazione è salito del 7,4% e quello giovanile è passato dal 18 al 25%. Dal terzo trimestre del 2008 ad oggi sono andati persi oltre 560 mila posti di lavoro soprattutto nella fascia d’età under 40. Nelle file dei disoccupati troviamo tantissimi giovani: oltre la metà dei 100 mila nuovi disoccupati del 2009 ha meno di 35 anni. Da precari i giovani lavoratori italiani si sono trasformati in disoccupati in cerca di lavoro. Sono localizzati in tutte le aree del paese, tranne che nel Mezzogiorno dove la sfiducia era già elevata e molti avevano scelto la via del lavoro nero e sono soprattutto uomini (147 mila contro le 32 mila donne). Secondo le stime fatte da Tito Boeri e Vncenzo Galasso chi oggi ha tra 16 e 24 anni ha un rischio di disoccupazione che oggi è 4 volte superiore a chi ha varcato la soglia dei 30 anni. Per loro sfortuna inizia a scricchiolare anche il sistema di ammortizzatori sociali vigenti in Italia, che offre garanzie solo ai lavoratori più maturi, quelli assunti oltre 20 anni fa, secondo un modello introdotto nei primi del 900 e pensato sul modello del lavoratore di sesso maschile impiegato nelle grandi aziende del nord. Di quel sistema di protezione sociale resta ormai ben poco: atipici, flessibili, senza tutela alcuna. E’ questo il ritratto dei lavoratori giovani in Italia, poco rappresentanti e troppo spesso poco visibili nel mondo del lavoro, assunti negli ultimi anni. Il mercato del lavoro italiano sembra così spaccato in due: da un lato ci sono lavoratori maturi, che hanno un contratto standard e che si trovano da mesi in cassa integrazione o in una situazione di lavoro ad orario ridotto e dall’altro tantissimi giovani precari di cui spesso non si parla affatto. La crisi economica dell’ultimo anno sta facendo calare progressivamente la quota di lavoro a tempo determinato sul totale dei dipendenti (-1% nel primo semestre 2008 vs. stesso periodo del 2008). Oltre il 75% dei lavoratori con contratto a tempo determinato con età tra 15 e 34 anni non ha visto rinnovare il proprio contratto di lavoro. Ed è in diminuzione anche la percentuale dei giovani di 15-34 presente nel mercato del lavoro: nell’annuario curato dall’Istat risulta che, in questa fascia d’età, nel 2009 vi sono stati 127 mila posti di lavoro cancellati. L’occupazione giovanile tra 15 e 34 anni è scesa dell’1,8%, molto distante da quella che si registra in altri Paesi Europei: il 58,7% dell’Italia, contro la media europea del 65,9%. Il divario si è creato e via via accentuato negli ultimi 20 anni: è la tesi sostenuta da Massimo Livi Bacci in “Avanti giovani, alla riscossa”. Negli anni Ottanta la partecipazione di giovani uomini e donne (20-24 anni) italiani nel mondo del lavoro si avvicinava molto a quella dei coetanei di Francia, Germania e Spagna. La distanza di circa 10 punti percentuali si è creata negli ultimi 20 anni con ripercussioni forti nel tessuto socio-demografico: la bassa natalità è la prima e diretta conseguenza della precarietà economica nella quale versano tantissimi giovani italiani. Sembra paradossale che, in un momento di crisi economica pesante, vi sia un invecchiamento dei lavoratori in tutti i comparti produttivi. Colpito è anche il terziario e i servizi alle imprese che si è contratto dello 0,8% rispetto al primo semestre del 2008. L’unico settore che cresce e molto è quello dei servizi alla persona (+7,8%). L’invecchiamento della popolazione italiana fa crescere il numero di badanti e stranieri assunti (oltre 184 mila in più nel II semestre 209). Una situazione difficile e forse senza ritorno. Secondo Guidalberto Guidi “nel complesso nell’industria produciamo troppo rispetto a quello che il mondo può assorbire” per altro penalizzati da un dollaro “che oscilla intorno a 1,50 sull’euro e fa scomparire un’intera area come possibile mercato”. E conclude “il futuro è in quei paesi che stanno crescendo, in Cina, in India, in Brasile e in quelle industrie che, multi localizzate,m sapranno rispondere alla sfida del mercato alzando l’asticella tecnologica dei prodotti”. Chi invece resterà in Italia dovrà continuare a fare i conti con un Paese in difficoltà, dove molte imprese, anche nei settori oggi di punta, potranno essere spazzate dalla concorrenza e fare i conti alla fine con una pensione, l’altra medaglia del mercato del lavoro, che tra periodi di discontinuità e disoccupazione, potrebbe non andare molto oltre la soglia minima di sopravvivenza.