La formazione rappresenta nell’economia globale un fattore cruciale di competitività per le imprese.

E’ per questa ragione che l’impegno e le risorse per promuovere attività di formazione continua stanno progressivamente crescendo anche nel nostro Paese, dove, tuttavia, la formazione resta ancora un fenomeno strettamente legato alle dimensioni aziendali.

Sono infatti le poche grandi imprese che operano nel territorio italiano a sfruttare maggiormente le opportunità derivanti dalla formazione e ad attingere a fondi pubblici per investire nella riqualificazione e crescita delle risorse umane.

Secondo recenti rilevazioni sul mondo della formazione continua raccolti e diffusi dal Ministero del Lavoro in Italia, tra il 2000 e il 2005 la spesa in formazione, al lordo del finanziamento pubblico è nettamente cresciuta, passando dagli 895 milioni di euro nel 2000 agli oltre 1500 milioni di euro nel 2005.

Un successo dovuto per gran parte dell’“effetto traino” del segmento delle grandi imprese (visualizza il grafico) che nel 2003 ha fatto registrare un picco nella domanda, un’exploit che, secondo gli addetti ai lavori, è dipeso dalla “Tremonti bis” (legge 383/01) che detassava gli investimenti delle imprese per la formazione e l’aggiornamento del proprio personale.

I settori (visualizza la tabella) che ad oggi manifestano una maggiore propensione ad investire in attività formative sono:
– terziario (61%)
– credito e assicurazione (16,2%)
– industrie meccaniche e mezzi di trasporto (9,4%)
– informazione e telecomunicazione (8,4%).

Più contenuti sono, invece, gli investimenti nei settori: industria estrattiva, istruzione, industrie del legno, del mobile e dei prodotti per la casa. Per le imprese di dimensioni più ridotte si segnala un interesse formativo piuttosto interessante nei settori: sanità e servizi sanitari privati, costruzioni, industria dei metalli e del commercio e riparazione degli autoveicoli servizi alle persone, studi professionali e servizi avanzati.

I destinatari delle attività formative sono, nella maggior parte dei casi, impiegati, quadri e dirigenti. Raramente vi accedono gli operai, probabilmente per un effetto discriminatorio da parte del management nei confronti delle esigenze di aggiornamento e sviluppo professionale dei dipendenti appartenenti a questa categoria.

Un altro dato, reso noto dal Ministero del Lavoro, che induce a riflettere è quello relativo al numero di enti di formazione riconosciuti nel nostro Paese. A fronte di una crescita importante degli investimenti in formazione e di un limitato numero di persone che hanno frequentato un corso di formazione, infatti, il numero di enti che operano su scala nazionale è rimasto sostanzialmente invariato.

Dal punto di vista della dislocazione territoriale, è nelle regioni settentrionali che si concentra il maggior numero di enti formativi riconosciuti: in Lombardia, Veneto ed Emilia Romagna operano rispettivamente 50.486, 28.538 e 25.846 unità provinciali che si occupano di formazione.

Infine, volendo esprimere un giudizio complessivo sulle iniziative messe in campo dalle istituzioni per promuovere attività formative, questo non può che essere parzialmente positivo. Se, da un lato, infatti, la domanda di formazione da parte delle imprese è indubbiamente cresciuta, dall’altro il fenomeno ha riguardato un campione non rappresentativo del nostro tessuto imprenditoriale, in quanto è stato appannaggio quasi esclusivo di grandi imprese, contro la netta prevalenza di PMI nel tessuto imprenditoriale nazionale.

Per quanto riguarda l'ammontare complessivo della spesa in formazione per le risorse umane delle aziende, sebbena questa sia in crescita costante, si nota un calo vistoso degli incentivi pubblici che sono scesi tra 2000 e 2005 dal 12,9% al 6,1%. In questo stesso periodo non si è riscontrato, per altro, un impatto significativo sulla capacità di investimento in formazione delle imprese italiane né è emersa la domanda potenziale ed inespressa nelle piccole imprese. Sono questi due aspetti su cui ci si augura che i Fondi Paritetici Interprofessionali possano concentrasri, magari puntando su una maggiore efficacia ed efficienza dal punto di vista della semplificazione dell'iter burocratico e della crescita della qualità dell’offerta formativa.