Sta facendo strage tra i grandi marchi la tendenza ad aprire un punto vendita nel centro di grandi metropoli. Boutique che potremmo definire “con i giorni contati” in quanto aprono e chiudono nell’arco di 1 mese. Si tratta di pop-up retail, ovvero ampi spazi di vendita gestiti da un unico marchio, sperimentati dapprima negli Usa con l’obiettivo di chiudere non appena terminava la merce.

Oggi queste sperimentazioni retail stanno giungendo in Italia, complice la necessità di individuare nuovi metodi ed inediti spazi distributivi in cui poter attrarre i potenziali clienti e intercettarne le esigenze e le abitudini, gli stili di consumo e i bisogni.

Le politiche distributive delle grandi imprese sono sempre più alla ricerca di novità e di possibili alternative che possano contrastare il drastico calo dei consumi in atto nel nostro Paese. Paolo Comini di Assotemporary, associazione appena nata nell'ambito di Assomoda, illustra i vantaggi di una soluzione distributiva “mordi e fuggi”: “si spende meno che per una campagna pubblicitaria, conviene più di un franchising e si ricavano feedback immediati sui comportamenti degli acquirenti. L'azienda può testare nuovi concept, comunicare il brand nella sua globalità, ma anche e, soprattutto, vendere. Il fatto che sia a tempo stimola l'acquisto d'impulso”.

Primo brand in ordine di tempo a proporre una boutique a tempo è stata la compagnia aerea Song in un loft a Soho. Ne hanno seguito l’esempio anche L'Oréal, la De Dietrich elettrodomestici che improvvisa food session in vari luoghi e Comme des garçons che organizza pop-up tour senza annunciarli, puntando solo ed esclusivamente sulla forza del passaparola.

“A Milano, il costo di un temporary shop va da un minimo di 12 mila euro a settimana a un massimo di 24 mila” continua Comini. I costi possono variare molto anche in base al periodo dell’anno in cui si sceglie di creare un pop-up retail: a Natale, ad esempio, si può arrivare a spendere anche a 20 mila euro per una sola settimana. E Milano è tra le città italiane più ambite: attualmente ci sono circa 40 spazi destinati a questi utilizzi, sia al chiuso che all’aperto. Basti pensare al pop-up Nivea, organizzato alle colonne di San Lorenzo e le varie altre iniziative previste per l'estate o a quello Saeco, leader nel mondo di macchine per caffè previsto dal 4 al 31 ottobre. L’azienda in questo periodo improvviserà una boutique temporanea e polisensoriale a Milano, disegnata dal Poli.design del Politecnico investendo circa il 15% sugli investimenti marketing totali, come precisa il direttore marketing Andrea Cattani.

Sempre al nord e in autunno si svolgeranno i festeggiamenti della Illycaffè, azienda che fattura 270 milioni di fatturato e vende 6 milioni di tazzine di caffè al giorno. Per i suoi 75 anni sarà allestito uno spazio temporaneo nell'ex Pescheria a Trieste dal 26 settembre all'11 ottobre, città di origine dell’azienda. O ancora Durex, leader mondiale nel settore dei profilattici che intende aprire un temporary shop a Milano a settembre dove testare una nuova linea di abbigliamento, come spiega il direttore marketing Mirco Morselli.

Tra gli altri marchi non possiamo non menzionare Louis Vuitton, simbolo del lusso made in italy, che ha progettato un esclusivo temporary shop nel Brooklyn Museum e ha in programma un’apertura anche a Porto Cervo e Visa che al Covent garden di Londra ha aperto una boutique temporanea dedicata allo swapping, lo scambio di accessori e capi vintage, prevedendo all’interno anche un negozio di alta sartoria, anch’esso a tempo, dove sono rimessi a nuovo abiti che richiedono interventi su rifiniture, orli, ricami, ecc.

I temporary shop diventano per le aziende un luogo di attrazione e di conoscenza dl target. Ambienti in cui testare il lancio di nuovi prodotti o immettere sul mercato linee di prodotto esclusive. Metodi che consentono di rinnovare i tradizionali sistemi retail e dare nuovo slancio alle politiche distributive aziendali. E’ però ancora difficile valutare quanto queste formule avranno successo. E’ facile ipotizzare che se saranno ben accolte dai clienti si consolideranno nel tempo e si diffonderanno tra i brand minori e in altre città italiane, anche del Sud Italia. In caso contrario, come accade spesso per altri esperimenti andati male, saranno destinati ad essere presto messe da parte dai creativi e dalle agenzie di comunicazione.