Sono ormai passati circa 40 anni dalla nascita di Internet, quale rete per lo scambio delle informazioni. Nel tempo l'utilizzo del web ha subito radicali cambiamenti. Il più importante, forse, è stato il commercio in rete. Tanti operatori hanno iniziato ad utilizzare i propri siti web per vendere i loro prodotti. Dal sito vetrina, molte aziende piccole e grandi, sono passati ad uno store online.
I numeri del commercio elettronico sono cresciuti moltissimo, anche in Europa, in numero ed in valore. Accade sempre più spesso che un acquirente vada in rete per realizzare i suoi acquisti.

Bastano pochi click e comodamente dalla propria abitazione o dal proprio ufficio si può portare a termine una transazione con venditori senza volto che possono trovarsi anche a centinaia di migliaia di chilometri. Su internet si può ormai comprare praticamente di tutto: scarpe, giubbotti, giocattoli, libri a prezzi molto convenienti.

Tantissimi sono gli operatori commerciali che vendono esclusivamente sul web con successo come Amazon.

Ma il quadro che emerge da un'analisi più approfondita del commercio elettronico mette in luce anche diverse zone d'ombra: diversi sono i casi rilevati di imbroglio o di mancata consegna del prodotto acquistato, soprattutto quando il venditore o il presunto tale è oltre confine. In Europa, secondo i dati diffusi dalla Commissione Europea, il 61% delle ordinazioni «online» da un Paese all'altro, non va in porto per una qualsiasi ragione. E dà origine a liti senza fine, complicate dalla presenza di leggi azionali diverse tra loro.
Per ridurre il numero di contenziosi, la Commissione sta pensando di rivedere le direttive comunitarie sui diritti dei consumatori varate negli anni '80 in poi ed ha avviato una consultazione con gli Stati-membri che potrebbe portare a nuovi paletti legislativi.

Greg Greeley, vicepresidente commerciale di Amazon, uno dei più grandi venditori puramente virtuali su scala mondiale, sulle pagine del Wall Street Journal lancia un allarme: questi nuovi provvedimenti, a suo avviso, potrebbero emarginare i venditori che non hanno un negozio di tipo tradizionale, ma che operino le loro transazioni esclusivamente sul web.
Ci si troverebbe probabilmente ad un ritorno al passato, quando il commercio era legato esclusivamente ad uno spazio fisico con 4 mura, un bancone, cassa e commessi per la vendita. "Le regole all'esame della Ue – spiega Greeley – consentirebbero ai produttori di articoli quotidiani, come i giocattoli o i prodotti da cucina, di esigere dai loro venditori al dettaglio che abbiano un negozio tradizionale (letteralmente «di mattoni e malta») e che in quel negozio vendano un certo quantitativo di quei prodotti, calcolato in volume o in valore".

Amazon Europe oggi vende qualsiasi libro stampato nel mondo e lo consegna praticamente ovunque, senza avere una libreria "fisica".
Le decisioni di Bruxelles non possono non sembrare una forma di "discriminazione", un tentativo per penalizzare gli operatori virtuali e "soffocare la competizione dei venditori online, gente che lavora duro per assicurare efficienza a prezzi più bassi". Jeremy Zimmermann, fondatore di un'associazione per la difesa delle libertà digitali nella Ue, ha affermato che imporre dei vincoli alla vendita sul web "è sbagliato, e comunque sarebbe come cercare di vuotare il mare con un cucchiaio".

Gli esperti della Commissione, al contrario, ritengono che chi compra in rete oggi sia poco o niente affatto tutelato. Chi può rendere giustizia ad un acquirente che acquista in rete una sveglia ipertecnologica prodotta in Finlandia e gli viene consegnata una di basso livello per altro «made in China»? E se al posto di un acquario da salotto ricevi un truogolo da stalla? Meglena Kuneva, commissaria uscente ai diritti del consumatore, precisa che "i consumatori europei meritano di meglio". Così l'ipotesi dell'obbligo di un "negozio di mattoni e malta" per vendere anche su Internet, diventa una possibile strada da seguire.

C'è chi pensa che i paletti che potrebbero essere introdotti sono diversi e che le consultazioni andranno avanti a lungo, in quanto la materia, sul piano sia legislativo che tecnico-amministrativo, è molto articolata e complessa e la posta in gioco è ormai molto alta. I dati di Bruxelless, infatti, parlano di oltre 150 milioni cittadini dei Paesi Ue che hanno comprato 1 o più volte qualche prodotto su Internet, in patria o fuori dai confini nazionali per un giro d'affari complessivo nel 2006 superava i 106 miliardi di euro. Il mercato europeo non dista molto da quello americano, anche se più evoluto in alcuni stati: Gran Bretagna (il 57% dei navigatori su Internet ha acquistato beni o servizi online durante l'ultimo anno), Francia (66%) e Germania.

L'Italia è nel mezzo della classifica dei paesi europei, insieme a Grecia e Portogallo: nel 2008, il 10% dei consumatori italiani adulti aveva realizzato almeno un acquisto online. L'e-commerce dovrebbe crescere ancora molto anche nel nostro Paese. A meno che non sopravvengano nuove norme a frenarne l'espansione. C'è da chiedersi se è più importante la tutela del consumatore o la crescita economica di nuovi operatori del commercio. Soprattutto in un periodo di crisi e stagnazione dei consumi.